Che vino bere con la carbonara?

La carbonara, espressione della cucina popolare romana, apprezzata ovunque in Italia da turisti e italiani è (solo all’apparenza) uno dei piatti più semplici da preparare, dato l’esiguo numero d’ingredienti: pasta, uova, guanciale e pecorino romano. Tuttavia, dalla sapiente mescolanza di tali ingredienti, nasce un piatto carico di sapori, deciso nella consistenza e nei colori. Una portata così deve accompagnarsi a un vino che sappia reggere il confronto con la complessità di sapori di questa pietanza. Dunque, qual è il miglior vino per la carbonara?

 

Carbonara: abbinamento vino e regole generali

 

La carbonara è un piatto molto complesso dal punto vista della struttura e dei sapori. Per questo motivo vini leggeri e poco strutturati rischiano di eclissarsi a confronto con la ricchezza di sapori di questo primo piatto.

Il vino da abbinare alla carbonara va dunque scelto tra quelli freschi, con una buona acidità, capaci di bilanciare la componente grassa e la tendenza al dolce della pasta.

Il tuorlo d’uovo ha infatti una certa grassezza che tende al dolce. Inoltre, sia il guanciale che il pecorino romano, ingredienti fondamentali per la preparazione della carbonara tradizionale, sono altrettanto grassi e untuosi. Se da un lato questo conferisce alla carbonara il sapore inimitabile che l’ha resa un piatto tipico della cucina italiana, dall’altro potrebbe smussare il gusto di un vino altrettanto rinomato ma non adatto a un confronto di sapori di questo tipo. Per pulire il palato si consiglia quindi un vino con una buona acidità.

Seguendo queste indicazioni generali, è possibile selezionare la tipologia di vino per la carbonara tra bianchi, rossi e spumanti.

 

 

Carbonara: vino bianco in abbinamento

 

Per accompagnare la carbonara, il vino bianco deve avere un carattere deciso e grintoso, con una buona acidità e una struttura che possa bilanciare la ricchezza e la sapidità degli ingredienti. Si consiglia di optare quindi per vini corposi e freschi, dai profumi avvolgenti, meglio se affinati in legno. Le varietà che meglio si sposano con la carbonara sono quelli da vitigni Chardonnay o Vermentino.

 

Che vino rosso abbinare alla carbonara?

Per la scelta dei vini rossi è bene orientarsi su vini strutturati ma dalla carica tannica moderata: un’eccessiva concentrazione di tannini, così come troppa corposità, potrebbero infatti contrastare in modo spiacevole la tendenza al dolce dell’uovo. Dunque, che vino rosso abbinare alla carbonara? Una Barbera d’Asti o alcuni vitigni internazionali, come il Cabernet Sauvignon o il Merlot sono tra i più indicati, grazie alla loro morbidezza e alle note speziate che richiamano all’olfatto i profumi ed il sapore del guanciale. 

 

Carbonara: abbinamento vino spumante

Lo spumante come vino da abbinare alla carbonara è principalmente una scelta filosofica: la carbonara tradizionale, intesa come piatto rustico e contadino, si accompagna a spumanti freschi e decisi, con bollicine in grado di contrastare apertamente la grassezza dell’uovo e del guanciale.

 

Vino per Carbonara: i più adatti nella selezione Banfi

 

Banfi prevede un’ampia selezione di vini che, per carattere e freschezza, sono tra i migliori da abbinare alla carbonara. Ecco una selezione di bianchi, rossi e spumanti che meglio si adattano a questo grande classico della cucina italiana.selezione di vini in distribuzione

 

I bianchi di Banfi

Il Centine Bianco, fresco e pieno al palato, fruttato e floreale all’olfatto, è il bianco toscano ideale per accompagnare un piatto di spaghetti o rigatoni alla carbonara. La sua struttura ben bilanciata e la pregevolezza delle varietà Chardonnay e Vermentino accompagna il sapore rustico del pecorino e del guanciale senza smorzarli.

Un altro bianco indicato è il Fontanelle, da uve Chardonnay con ottime potenzialità d’invecchiamento e una struttura morbida ben bilanciata da una punta di sapidità. Complesso ed elegante, questo vino per carbonara esprime appieno tutte le peculiarità del territorio montalcinese.

Un altro vino adatto tra i bianchi è infine La Pettegola, un Vermentino IGT Toscana molto fresco ideale per essere bevuto a tutto pasto.

 

I rossi di Banfi

 

Piemontesi

Tra i vini rossi suggeriamo L’Altra, un Barbera d’Asti affinato in tini d’acciaio dalle spiccate note di frutti rossi e sentori di viola. Al palato si presenta fresco e piacevolmente acido, con una delicata concentrazione di tannini che esalta la tendenza al dolce dell’uovo senza comprometterla.

Un altro abbinamento per vino e carbonara vincente è quello con La Lus, un rosso di carattere, dalla struttura morbida e vellutata, con vari sentori di liquirizia e vaniglia. Nato dall’unione di vitigni Barbera e Nebbiolo, è perfetto per abbinamenti con primi piatti carichi e saporiti, come appunto la carbonara. 

 

Toscani

Anche il Centine Rosso Varietale, vino elegante e pieno nato dall’incontro tra Sangiovese, Cabernet Sauvignon e Merlot, si sposa egregiamente con la carbonara. I profumi fruttati, arricchiti da un leggero sentore di vaniglia, esaltano i primi piatti intensi e speziati, e il suo finale persistente ben si accompagna con il gusto deciso del pecorino e del guanciale.

 

Gli spumanti Banfi

Il Banfi Brut Metodo Classico si contraddistingue per un’innata freschezza e vivacità al palato, derivante dalle varietà di uve pregiate da cui trae origine: Chardonnay e Pinot Bianco. Affinato sui lieviti per 30 mesi, ha una struttura ben equilibrata e solida, che si bilancia perfettamente con le note grassose e speziate della carbonara.

Tra i vini con bollicine da abbinare alla carbonara, non si può non includere anche il Cuvée Aurora, uno spumante metodo classico elegante e armonioso che si chiude con un finale fresco e sapido, ideale per sgrassare il palato quando si gusta una carbonara cucinata a regola d’arte.

Vino da abbinare al tartufo: quale scegliere?

All’interno del variegato panorama enogastronomico della nostra penisola, fatto di eccellenze locali e attenzione alla qualità delle materie prime, un posto d’onore lo merita il tartufo, protagonista di molti piatti tipici della cucina italiana. E, all’interno dell’esperienza degustativa unica rappresentata da questo fungo pregiato, la scelta del vino da abbinare al tartufo riveste un ruolo fondamentale.

Sapori ricercati e intensi come quelli sprigionati dai piatti a base di tartufo, infatti, possono essere ancor più valorizzati se abbinati a vini pregiati da scegliere con cura. Così come le ricette più classiche o le più innovative sono realizzate dal sapiente equilibrio di sapori e profumi tra i vari ingredienti, così anche il vino da abbinare al tartufo deve far parte di questa armoniosa sinfonia degustativa.

 

Abbinamento vino e tartufo: gli errori da non commettere

 

L’abbinamento di vino e tartufo deve iniziare da una conoscenza di entrambi i prodotti, che si presentano decisi e peculiari al gusto e all’olfatto. Da qui bisogna partire per evitare di cadere in errore quando si sceglie il vino da abbinare al tartufo. Ecco, quindi, gli errori più comuni da evitare per poter gustare al meglio un piatto a base di tartufo.

Il più ricorrente è quello di associare al tartufo bianco un vino bianco e al tartufo nero un vino rosso. In verità, la scelta del vino non dipende dal colore ma dal profumo e dalla sua struttura.

Nella scelta del vino per tartufo è importante considerare soprattutto metodo e botti di invecchiamento del vino. Ad esempio, vini invecchiati in barrique di legno, caratterizzati da un sentore di vaniglia piuttosto deciso, non si sposano affatto con il gusto del tartufo e rischierebbero di rovinare l’esperienza degustativa.

Quando si tratta di spumanti, è invece bene essere accorti e parsimoniosi sulle bollicine: gli spumanti Metodo Charmat tendono a coprire il sapore del tartufo con la loro dolcezza ed effervescenza concentrata.

Infine, non bisogna dimenticare che il tartufo, sebbene protagonista indiscusso della portata, non è l’unico ingrediente che apporta sapore e consistenza al piatto: è importante anche tenere conto dei diversi ingredienti che lo compongono per scegliere cosa bere con il tartufo.

 

Vino da abbinare al tartufo: alcuni suggerimenti

 

La regola principale per un perfetto abbinamento vino-tartufo è quella di considerare il vino come un accompagnamento al tartufo, un’ancella che accompagna la sua signora per farla apparire ancora più nobile: il vino non deve sovrastare mai il tartufo, né a livello olfattivo né a livello di gusto.

I vini che esaltano la delicata aromaticità del tartufo, senza sovrastarla con il loro carattere e bouquet, sono i candidati ideali per accompagnare i piatti a base di tartufo.

Il suggerimento è quindi quello di prediligere vini poco corposi, con una media struttura e una discreta quantità di tannini e con profumazione non troppo fragrante.

 

 

I migliori vini Banfi per tartufo bianco e nero

 

Tra i vini di produzione Banfi, ecco quelli che ti consigliamo di abbinare ai tuoi piatti a base di tartufo (nero o bianco).

 

Che vino si abbina al tartufo bianco?

 

Il tartufo bianco, caratterizzato da un aroma pungente e intenso, con leggeri sentori di aglio al naso e al palato, ha un gusto delicato, con note leggermente piccanti e dolci. Si utilizza principalmente a crudo per condire squisiti piatti a base di pasta all’uovo e necessita di un vino non eccessivamente profumato, asciutto e leggermente amarognolo.

Nell’abbinamento dei vini con tartufo bianco, la scelta di uno spumante italiano è la più classica e apprezzata, soprattutto per quelli prodotti con varietà da Pinot Nero, come il Banfi Brut Metodo Classico o il Cuvée Aurora Blanc de Noirs, le cui note di erbe aromatiche si sposano alla perfezione con il retrogusto pungente del tartufo bianco. Anche La Lus, il rosso Albarossa, una varietà nata dall’unione della Barbera e del Nebbiolo, si accompagna in modo impeccabile al tartufo bianco, grazie alla sua struttura morbida e vellutata.

Se invece si ricerca un abbinamento vino e tartufo bianco meno tradizionale che lasci spazio all’esplorazione di nuovi connubi di sapore, la scelta ideale per stuzzicare il palato è il Fontanelle, il vino Banfi da uve Chardonnay elegante e complesso, adatto a piatti elaborati arricchiti con una spolverata di tartufo.

 

Come abbinare il tartufo nero

 

Il tartufo nero è più versatile in cucina rispetto a quello bianco, per cui lo si può utilizzare sia cotto che crudo; ha un sapore delicato, quasi dolciastro e predilige quindi vini strutturati e invecchiati pochi anni, come il Rosso di Montalcino. Il più famoso vino del territorio montalcinese ha infatti una struttura ampia e armonica, con un’acidità ben bilanciata che contrasta amabilmente il retrogusto dolciastro del tartufo nero.

Infine, anche il Chianti Classico accompagna molto bene i piatti della tradizione come le tagliatelle al tartufo nero, grazie alla sua struttura equilibrata e al profumo complesso ma non invadente.

Remuage manuale: significato e procedimento

Gli spumanti pregiati come il Cuvée Aurora Rosé, il Cuvée Aurora, il Cuvéè Aurora Blanc, il Cuvéè Aurora Riserva 100 Mes o il Banfi Brut Metodo Classico si contraddistinguono, oltre che per il profumo intenso e avvolgente e per il perlage fine e persistente, anche per un’eccezionale limpidezza, considerata uno dei segni distintivi degli spumanti metodo classico. Tale caratteristica è frutto di un elaborato procedimento chiamato remuage che, nella sua forma manuale, permette di raccogliere i sedimenti nel collo della bottiglia per poi andarli a eliminare successivamente con la sboccatura.

Che cosa si intende per remuage?

La parola “remuage” è di origine francese e significa letteralmente “scuotimento”. Nel caso del remuage della bottiglia di spumante, tale scuotimento è controllato e calcolato al millimetro con la massima precisione, attraverso movimenti decisi e studiati nel tempo.

L’origine francese del termine tecnico che identifica il processo di “scuotimento controllato” testimonia le origini francesi del procedimento stesso. Durante il XIX secolo nella regione Champagne-Ardenne della Francia, molto rinomata per le sue bollicine, i produttori vinicoli idearono questa pratica per rendere limpidi gli spumanti metodo classico, così da eliminare la feccia e i residui della fermentazione e donare allo spumante il classico perlage che lo contraddistingue.

Cenni storici sul remuage 

Il primo ad adottare un metodo efficace per far accumulare i sedimenti nel collo della bottiglia fu, secondo la tradizione, Jean Godinot, canonico della Cattedrale di Reims e rinomato viticoltore. Egli suggerì di collocare le bottiglie, parzialmente rovesciate, in un letto di sabbia, così da favorire il deposito dei sedimenti. Tuttavia, tali letti di sabbia occupavano un discreto spazio nelle cantine e, in un periodo storico in cui la produzione e il consumo di champagne era aumentato in Francia e in Europa, era necessario trovare una soluzione diversa.

Si deve alla signora Clicquot, proprietaria di una famosa cantina nello Champagne e a uno dei suoi dipendenti, Antoine Muller, l’invenzione della tavola da remuage, una sorta di scaffale a tre o quattro livelli, i cui ripiani erano realizzati con tavoli dotati di fori obliqui in cui posizionare le bottiglie inclinate.

La prima pupitres così come si conosce oggi risale invece al 1864 e fu brevettata da Michelot. La struttura consisteva in una tavola inclinata con la giusta angolazione in cui era possibile inserire 120 bottiglie e prelevarle comodamente per poter eseguire il remuage manuale.

Nel corso degli anni, le pupitres si sono evolute per consentire una maggiore automazione nel processo di remuage: la pupitre a manovella e la pupitre di Mereaux non ebbero molto successo, poiché facilmente soggette a rottura, mentre fu adottata in molte cantine la pupimatic del 1966, una pupitre composta da pannelli verticali con 240 alloggiamenti per le bottiglie, azionata da motori elettrici.

Il lento passaggio dal remuage manuale a quello automatico ebbe inizio tra il 1972 e il 1973, con l’invenzione dello champarex, una macchina che agiva non sulle singole bottiglie ma sull’intera cassa che le conteneva, e del cosiddetto giro-pallet, un contenitore cubico che può ospitare 504 bottiglie e che ruota grazie all’azione di un motore elettrico. Oggi, i moderni e sofisticati giro-pallet vengono ampiamente utilizzati dalle aziende che eseguono il remuage automatico. Tuttavia, per gli spumanti d’eccellenza, si predilige sempre il remuage manuale.

Come si fa il remuage manuale?

Ma come si fa il remuage manuale e in quale momento della produzione dello spumante si interviene con questa rotazione controllata della bottiglia?

Le bottiglie pronte per il remuage manuale vengono inserite a collo in giù su apposite strutture in legno, triangolari o a forma di V invertita, piene di fori per l’inserimento in verticale delle bottiglie. Tali strutture sono chiamate pupitres (termine che in francese significa “leggio” o “tavola”) consentono di inclinare le bottiglie gradualmente, aumentandone l’inclinazione, per arrivare a 60 gradi nel giro di 25-30 giorni, così da raccogliere nel collo della bottiglia i sedimenti dei lieviti utilizzati per la fermentazione in bottiglia tipica degli spumanti metodo classico.

Sotto il tappo a corona viene inserito un piccolo cilindro di plastica per favorire l’accumulo delle fecce al termine del remuage manuale: la bidule.

Quotidianamente poi il remuer, ossia l’esperto di remuage manuale, ruota la bottiglia con un colpo di polso deciso, così da scuotere i residui sul fondo della bottiglia, con una rotazione di circa 1/4 o 1/8, in senso orario o antiorario.

Quando si fa il remuage manuale?

Come detto in precedenza, il remuage manuale è necessario per l’eliminazione dei sedimenti e delle impurità. Questa delicata fase si colloca dopo la seconda fermentazione in bottiglia e la cosiddetta presa di spuma, ossia quel processo che consente all’anidride carbonica di rimanere nel vino sotto forma della tipica spuma da cui lo spumante trae il nome.

Il processo di produzione dello spumante inizia con la preparazione della cuvée, il vino di base ottenuto dalla sapiente miscela di vini provenienti da diverse varietà di vitigni accuratamente selezionati. Viene poi imbottigliata nella bottiglia di destinazione finale e lasciata affinare su lieviti a temperatura controllata per diversi mesi (nel caso della Cuvée Aurora imbottigliata da Banfi l’affinamento su lieviti è di circa 30 mesi).

In questa fase viene introdotta una miscela di zucchero, minerali e lieviti che prende il nome di liquer de tirage (“liquido di tiraggio”) e che consente la seconda fermentazione in bottiglia.

Solo dopo l’affinamento si procede con il remuage manuale, per l’eliminazione dei lieviti esausti e della feccia. Infine, si procede con la sboccatura oppure dégorgement, ossia l’asporto del tappo con la bidule dove si è concentrata la feccia, e con la sostituzione con il nuovo tappo. Questo processo, un tempo fatto a mano da un tecnico esperto, adesso viene effettuato, nella maggior parte delle aziende vinicole, da un macchinario ad hoc.

Per il remuage, invece, si predilige ancora il processo manuale: un remuer esperto può far ruotare anche 40.000 bottiglie al giorno. Tuttavia, per le grandi produzioni, si può fare ricorso al “giro pallet”, chiamato anche “gyro-palette”.

Quanto dura il remuage manuale?

Data l’importanza di questo processo nella produzione dello spumante con metodo classico, è naturale chiedersi quanto dura il remuage manuale. Il tempo del trattamento varia a seconda della tipologia dello spumante e da quanti giorni occorrono per raggiungere la limpidezza che contraddistingue, ad esempio, un Brut Metodo Classico. In genere, il remuage dura circa 1/2 mesi e una bottiglia può essere manipolata anche più di 25 volte prima di essere considerata pronta.

I remuer specializzati hanno l’abitudine di tracciare con il gesso un segno sul fondo della bottiglia per indicare il punto da cui si partiti per la rotazione di quel giorno, così da poterlo usare come segnaposto per il remuage manuale del giorno successivo: si tratta di un trucco del mestiere che si rivela molto utile, dato che il procedimento del remuage manuale dura diverse settimane.

Visita cantine: cosa aspettarsi?

In cosa consiste una visita in cantina? Perché sceglierla durante la propria vacanza? Scopri le visite alle cantine del Castello Banfi Wine Resort.

Visita cantine: cosa aspettarsi?

La visita alle cantine non è solo un’esperienza riservata ai soli cultori del vino ma è sempre più una parte fondamentale di quel turismo enogastronomico che negli ultimi anni ha affascinato turisti italiani e stranieri.

In passato, i tour delle cantine erano riservati agli intenditori e ai sommelier che visitavano questi luoghi per regalarsi degustazioni di vini pregiati direttamente sul territorio di produzione, cogliendo anche l’occasione per entrare in contatto diretto con i produttori e acquistare vini pregiati a chilometro zero.

Adesso l’esperienza della visita in cantina è un fenomeno che interessa molte più persone e rappresenta un’occasione per degustare i vini con la guida di esperti sommelier e per osservare da vicino come si produce il vino e quali sono le tecniche di produzione più avanzate adottate dalle aziende vinicole come Banfi. Ma cosa aspettarsi da una visita alle cantine?

Visita alle cantine: un’esperienza educativa e affascinante

In molti casi, il giro delle cantine è preceduto da una visita dell’intera tenuta, in particolar modo ai vigneti, dove una guida illustrerà le eccellenze ampelografiche della regione, mostrerà ai meno esperti le principali differenze tra vitigni a bacca bianca e a bacca nera e spiegherà, ad esempio, che cosa si intenda per vendemmia tardiva.

Questo tipo di esperienza, suggestiva e interessante dal punto di vista paesaggistico, è affascinante anche per chi non si ritiene un esperto ma è ugualmente interessato a scoprirne caratteristiche e curiosità.

Successivamente si arriva alla visita delle cantine vera e propria. Si tratta molto spesso di luoghi suggestivi dal punto di vista architettonico (uno spettacolo di legno e pietra), con file di botti di diversa grandezza allineate le une sulle altre e/o bottiglie di spumante adagiate sulle caratteristiche pupitres di legno per l’affinamento.

Una visita in cantina è l’occasione ideale per scoprire tutte le fasi di vinificazione o spumantizzazione e per arricchire le proprie conoscenze sulle tecniche di produzione. La guida vi mostrerà le diverse strumentazioni, illustrandovi la storia, le caratteristiche e le curiosità di ciascuna di esse. Potreste inoltre avere la possibilità di osservare come avviene la pigiatura nelle grandi vasche, come si esegue un imbottigliamento a regola d’arte o come i maestri vinificatori eseguono l’antica tecnica del remuage manuale.

Tour cantine: un’esperienza di gusto

Una visita alla cantina non può che concludersi con una degustazione dei vini locali della cantina stessa, spesso accompagnata dall’assaggio di altri prodotti tipici della zona (salumi, formaggi, ecc.).
Sarà compito dei sommelier illustrarvi le diverse caratteristiche dei vini, frutto di un’attenta selezione delle bacche e di un processo di vinificazione articolato e complesso nel quale tradizione, sperimentazione e tecnologie all’avanguardia giocano un ruolo fondamentale. Questo renderà il tour delle cantine un’esperienza educativa e di gusto completa.

Visita alle nostre Cantine

Banfi, che da sempre fa dell’eccellenza e dell’ospitalità la sua filosofia, è una delle aziende vinicole che durante buona parte dell’anno apre le porte della sua tenuta per una visita alle cantine, alla scoperta di luoghi concepiti per preservare e valorizzare la straordinaria selezione clonale delle uve prodotte nella tenuta Banfi.

Oltre alla cantina tradizionale, durante il tour delle nostre cantine è possibile ammirare anche la nuova area di micro-vinificazione, un vero gioiello dal punto di vista della tecnologia e dell’innovazione, nata dalla ricerca avanguardistica che da sempre ci caratterizza e con lo scopo di esaltare la ricchezza del patrimonio ampelografico delle tenute montalcinesi.

L’ambiente si configura infatti come una vera e propria cantina nella cantina, il cuore delle eccellenze Banfi. Qui si può osservare nel dettaglio l’intero processo di vinificazione: dalla pigiatura dell’uva fino all’imbottigliamento, in perfetto accordo con lo scopo educativo delle visite in cantina organizzate da Castello Banfi Wine Resort.

Cosa abbinare a una visita in cantina?

Le cantine Banfi sono immerse in paesaggi di straordinaria bellezza. Una volta terminato il tour in cantina sarà quindi possibile visitare ad esempio l’incantevole Castello di Poggio alle Mura.

Per chi desiderasse fermarsi qualche giorno nella campagna toscana sono inoltre disponibili camere e suites presso Castello Banfi Wine Resort, la struttura di lusso firmata Banfi, che offre ai suoi ospiti un’esperienza di relax e comfort a cinque stelle e in perfetta armonia con il paesaggio circostante e le strutture del Borgo. Regalarsi una visita alle cantine, abbinata ad un soggiorno come questo, è un’esperienza unica: la vacanza ideale per i cultori del vino e non solo.

Metodo Charmat e Champenoise

Entrambi sono metodi di produzione di vini frizzanti. Ecco caratteristiche, similarità e differenze del metodo charmat e di quello champenoise.

Metodo charmat e champenoise: ecco le differenze

La spumantizzazione, ossia quel processo che porta alla trasformazione del vino in spumante mediante una seconda fermentazione su lieviti, è complessa e articolata. Sulle caratteristiche dello spumante incidono non solo la qualità della cuvée di partenza e l’esatta composizione del liqueur de tirage ma anche il Metodo con cui viene indotta la rifermentazione. In base alla tecnica utilizzata per indurre la seconda fermentazione, si distinguono infatti il Metodo Charmat e il Metodo Champenoise.

La differenza tra Metodo Charmat e Champenoise riguarda principalmente la seconda fermentazione: essa avviene in botti di acciaio inox nel primo caso e in bottiglia nel secondo caso. Tuttavia, anche i successivi passaggi differiscono in alcuni aspetti, così come il prodotto finale:

  • gli spumanti Metodo Charmat sono profumati, aromatici e dal perlage ricco e penetrante;
  • gli spumanti Metodo Champenoise (o Metodo Classico) sono delicati e freschi, molto equilibrati e con un perlage finissimo.

Le peculiarità delle due tipologie di spumante sono facilmente individuabili durante una degustazione guidata, come quelle organizzate presso L’Enoteca di Castello Banfi Wine Resort che prevedono l’assaggio di alcuni tra i migliori vini firmati Banfi accompagnati da prodotti tipici del territorio toscano.

Il Metodo Champenoise

Il Metodo Champenoise deve il suo nome alla regione francese Champagne da cui provengono i migliori spumanti francesi. Tale processo di spumantizzazione è conosciuto anche con l’espressione di “Metodo Classico”. Gli spumanti Metodo Classico italiani, realizzati con cuvée a base di Chardonnay o Pinot nero sono estremamente freschi ed eleganti.

Origini del Metodo Champenoise

Le origini di questo metodo di spumantizzazione sono molto antiche e risalgono alla fine del Seicento. Le fonti attribuiscono l’invenzione dello spumante (inizialmente realizzato solo con il Metodo Classico) all’abate Pierre Pérignon.
Quest’ultimo avrebbe infatti scoperto la possibilità di una seconda fermentazione del vino in bottiglia mediante l’aggiunta di zuccheri e la successiva formazione delle bollicine.

Come funziona il Metodo Champenoise

Come per tutti gli spumanti, è fondamentale la scelta della cuvée di base: si prediligono soprattutto vini fermi da vendemmia precoce con una buona acidità. Successivamente, la cuvée viene imbottigliata insieme al cosiddetto liqueur de tirage, una soluzione a base di zuccheri e lieviti selezionati in grado di attivare la seconda fermentazione. Questa fase può durare diversi anni, durante i quali lo spumante acquisisce la complessità di aromi e profumi che lo caratterizzerà nel suo stadio finale.
I successivi passaggi per la produzione di spumante Metodo Classico si caratterizzano per la perfetta sinergia tra nuove tecnologie e pratiche manuali di antica tradizione, come il remuage o il degorgement, due tecniche utilizzate rispettivamente per separare le fecce dallo spumante mediante rotazione e per asportare il tappo a corona dove tali fecce si sono depositate.

Il Metodo Charmat

La differenza tra Metodo Charmat e Champenoise riguarda, come anticipato, il luogo dove avviene la seconda fermentazione: nel caso del Metodo Charmat si utilizzano botti in acciaio inox a temperatura controllata, chiamate “autoclavi”.

Origini del Metodo Charmat

Il Metodo Charmat deve il suo nome a Eugène Charmat, un enologo francese che agli inizi del Novecento brevettò un nuovo metodo e una innovativa tecnologia per la rifermentazione dello spumante.
Tuttavia, il primo ad aver ideato tale metodo fu l’enologo artigiano Federico Martinotti. La sua nuova tecnica aveva lo scopo di ridurre i costi e i tempi di produzione dello spumante, introducendo una fermentazione in massa della tradizionale cuvée all’interno di botti in acciaio inox sotto pressione (le autoclavi). A Charmat si deve il miglioramento di questa tecnica e l’acquisizione del brevetto, circa una quindicina di anni dopo i primi utilizzi da parte di Martinotti, motivo per cui questo procedimento è noto sia come Metodo Charmat che come Metodo Martinotti.

Come funziona il Metodo Charmat

Il punto di partenza per la produzione di spumante Metodo Charmat è una cuvée di vini base con un bagaglio aromatico intenso. Questa tecnica, infatti, è quella che meglio conserva le caratteristiche olfattive del vitigno stesso, racchiudendole all’interno della bottiglia e ampliandole grazie alle bollicine.

La cuvée viene introdotta nelle botti di acciaio inox sotto pressione per un tempo che va dai 30 agli 80 giorni. Durante questo periodo il vino subirà una fermentazione rapida, grazie anche all’introduzione di zuccheri e lieviti selezionati, fino alla presa di schiuma. La permanenza su lieviti consente lo sviluppo degli aromi e la loro evoluzione in uno spumante fresco, profumato e dal profilo olfattivo complesso.

Le differenze tra Metodo Charmat e Champenoise non riguardano solo la fermentazione ma anche le fasi successive della spumantizzazione. Infatti, per conservare l’aroma variegato, intenso e il perlage a grana più ampia che contraddistingue gli spumanti Metodo Charmat, le restanti fasi della spumantizzazione (travaso, refrigerazione, filtrazione e imbottigliamento) avvengono in condizioni isobariche (ossia sotto pressione) al fine di non disperdere l’anidride carbonica creatasi e di portare in tavola una bottiglia dal gusto esuberante e complesso.

Abbinamento vino e formaggio: tutti i consigli

Vino e formaggio rappresentano una perfetta combinazione delle specialità più tipiche dell’Italia, esportati all’estero come simbolo dell’eccellenza gastronomica del nostro Paese e protagonisti di esperienze di degustazioni. L’abbinamento vino e formaggio deve essere accorto e attento poiché, data la grandissima varietà di entrambi i prodotti, è più facile commettere errori.

Dunque, che vino abbinare a un tagliere di formaggi? Esistono delle regole su come abbinare i formaggi al vino? Più che di regole è opportuno parlare di criteri da seguire per abbinare vino e formaggi:

  • ad esempio, si può scegliere di seguire un abbinamento per territorialità, ossia accompagnando formaggi tipici di una regione con i migliori vini dello stesso territorio;

  • in alternativa si può optare scegliendo l’abbinamento per contrasto, basato sull’equilibrio tra sapidità, grassezze e dolcezza sia del vino che del formaggio;

  • oppure l’abbinamento per armonia, basato sull’accostamento della stagionatura o della durezza del formaggio alla struttura del vino.

Come abbinare i formaggi al vino a partire dal tipo di formaggio

Innanzitutto, è fondamentale saper distinguere le diverse tipologie di formaggi. Non sono solo la provenienza del latte (di mucca, caprino o pecorino) e il metodo di lavorazione a conferire ai formaggi il gusto caratteristico ma anche la consistenza stessa del formaggio, che può quindi essere un fattore da prendere in considerazione per un corretto abbinamento tra vino e formaggio. Ecco, quindi, una catalogazione dei formaggi in base alla loro tipologia.

Formaggi a pasta molle

I formaggi a pasta molle, come lo Squacquerone, la Crescenza, lo Stracchino o il Gorgonzola, in genere molto cremosi, si abbinano molto bene ai vini bianchi di media struttura. Se il sapore del formaggio è più intenso, si può pensare anche all’abbinamento con vini affinati in legno, più strutturati e corposi e dalla forte carica aromatica.

Formaggi a pasta semidura

Anche per i formaggi a pasta semidura, come l’Asiago, l’Emmental o il Pecorino toscano, un vino bianco di media struttura è l’accompagnamento ideale. Se la stagionatura è leggermente più avanzata anche un rosso leggero può risultare un’ottima scelta per esaltare il gusto e la persistenza del formaggio.

Formaggi stagionati

Più lunga è la stagionatura del formaggio e più intenso deve essere il vino in abbinamento. Per formaggi di lunga stagionatura, come il Grana o il Parmigiano, è indicato un vino rosso corposo che sappia armonizzarsi con la persistenza e la sapidità dei formaggi stagionati. 

Formaggi a pasta filata

Nella categoria dei formaggi a pasta filata, tipici soprattutto dell’Italia centromeridionale, rientrano sia Mozzarella e Ricotta che Provoloni, Caciocavalli e Caciotte; di conseguenza è difficile fornire un’indicazione univoca su come abbinare questi formaggi al vino.

Un suggerimento utile è quello di affidarsi al criterio territoriale e scegliere quindi vini bianchi freschi e sapidi campani in accostamento a ricotta e mozzarella di bufala oppure vini bianchi toscani come il Vermentino in accostamento alla Caciotta della Lunigiana. 

Formaggi a crosta fiorita

Per i formaggi a crosta fiorita la scelta del vino è molto ampia: Brie e Camembert si accompagnano a vini bianchi e rossi di media struttura come quelli prodotti con il Sangiovese. I vini rossi da varietà Sangiovese, infatti, contraddistinti da un bouquet prezioso ed elegante, in cui le note fresche di fiori e frutti si fondono con quelle più intense della liquirizia e del tabacco, creano una perfetta armonia di sapori con i formaggi a crosta fiorita dal sapore deciso e variegato. La cremosità di questi formaggi viene esaltata dalla struttura ben bilanciata e persistente di un Brunello di Montalcino o di un Rosso di Montalcino.

Formaggi erborinati

L’abbinamento vino-formaggi erborinati, conosciuti anche come “formaggi blu”, è uno dei più complicati, poiché formaggi come il Gorgonzola o il Roquefort, sono dotati di un carattere deciso e pungente, che può spesso entrare in competizione con quello del vino. Inoltre, nelle degustazioni i formaggi erborinati sono spesso accompagnati da marmellate e confetture. Bisogna quindi tener conto dell’interezza delle portate quando si pensa a come abbinare i formaggi al vino. Si prediligono vini passiti, molto liquorosi, o vini bianchi aromatici affinati in legno, che con il loro bouquet intenso e inebriante accompagnano il gusto persistente dei formaggi blu.

I migliori vini Banfi da abbinare ai formaggi

Gli abbinamenti gastronomici sono il frutto di una scelta oculata e attenta, volta a bilanciare sapori, persistenze e corposità così da stupire il palato con combinazioni che valorizzano sia il vino che il formaggio. Tra i vini Banfi, ecco alcuni di quelli più consigliati per accompagnare i formaggi.

Vini rossi Banfi

Il Chianti Classico DOCG, un rosso d’eccellenza realizzato con le migliori varietà della zona del Chianti, esprime il meglio del suo carattere tipicamente toscano quando accompagna formaggi con cui condivide la territorialità e il carattere, come il pecorino toscano DOP. Il gusto sapido e la consistenza vellutata del Chianti esaltano il profumo intenso di questo formaggio di pecora.

Continuando con le eccellenze, per un abbinamento vino e formaggio perfetto è molto apprezzato quello tra il Rosso di Montalcino e il Parmigiano stagionato oltre 24 mesi. La struttura ampia di questo rosso, allo stesso tempo complessa e ben bilanciata, frutto della grande espressione varietale del Sangiovese, è l’ideale per accompagnare la sapidità del Parmigiano a lunga stagionatura e l’intensità del suo carattere.

Con un Parmigiano ancora più stagionato, oltre i 36 mesi, è invece consigliabile un abbinamento con il Brunello di Montalcino, una tra le eccellenze Banfi più apprezzate nel mondo, nato da varietà Sangiovese di pregiata qualità e frutto di studi decennali e innovazioni tecnologiche. La struttura ricca del Brunello e il suo grande potenziale olfattivo creano con il gusto sapido di questo formaggio un abbinamento ricco e deciso, altamente di classe, ideale per aperitivi sofisticati.

Vini bianchi Banfi

Il Fontanelle accompagna formaggi a pasta filata come la Burrata accarezzando il palato con una morbida armonia. Gli aromi fruttati tipici dello Chardonnay esaltano il gusto dolce della Burrata, mentre il finale persistente con note di vaniglia si sposa alla perfezione con il cuore tenero di questo formaggio.

Il San Angelo Pinot Grigio, ricco di profumi, è un vino da abbinare a formaggi dai profumi altrettanto ricchi, come quelli caprini. Inoltre, la buona acidità e sapidità di questo vino bilancia egregiamente la cremosità della Robiola o dello Stracchino di capra.

Vini passiti e spumanti

Come detto in precedenza, i formaggi erborinati, con il loro caleidoscopio di profumi e sapori necessitano di un vino che sappia tener testa all’esplosione di sensazioni olfattive e di gusto. In questi casi non c’è niente di meglio del Florus, 100% Moscadello di Montalcino che si contraddistingue per l’estrema varietà di profumi e aromi.

Infine, gli spumanti come il Tener Extra Dry si accompagnano ai formaggi di media e lunga stagionatura, sia come antipasto che come portata finale di un ricco pasto. Le bollicine creano un contrasto intrigante con la sapidità di formaggi come il Grana o il Parmigiano, contribuendo anche a sgrassare il palato, mentre la freschezza si bilancia con la sapidità.

Enoteca: significato e storia

Un’enoteca non è un semplice negozio di vini: scopri su banfi.it come si definisce e come riconoscerne una.

Enoteca: significato, storia e curiosità

Il mondo del vino è articolato e complesso: le figure professionali che ruotano intorno alla sua produzione e distribuzione sono molteplici così come sono diversi i luoghi legati a questo prodotto. A questo proposito, uno dei più interessanti, oltre a quello della cantina, è sicuramente l’enoteca, ovvero il luogo dove vengono conservate ed esposte le bottiglie di vino e spumanti destinate alla vendita o alla consumazione in loco durante possibili eventi di degustazione.
In questo approfondimento prenderemo in esame alcune curiosità legate alle enoteche, ad esempio perché si chiama così, cosa si vende in enoteca o come si chiama chi lavora in un’enoteca.

Etimologia di enoteca

Per rispondere alla prima domanda, ossia cosa significa enoteca e perché si chiama enoteca, è necessario partire dall’origine della parola. L’etimologia di “enoteca” deriva dall’unione di due parole di origine greca: “eno” – dal greco oinos (“vino”) – e “teca” – dal greco theke (“ripostiglio” o “deposito”). La parola “enoteca” significa quindi “ripostiglio o deposito del vino”.
Tuttavia, nonostante l’etimologia di “enoteca” faccia riferimento alla sola conservazione, nella lingua italiana indica anche il luogo dove le bottiglie vengono esposte per la vendita e per la degustazione.

Cosa si vende in enoteca?

Come anticipato, spesso in enoteca si organizzano degustazioni dei vini venduti accompagnati da prodotti tipici del territorio, contribuendo così al cosiddetto turismo enogastronomico. Presso le enoteche gli intenditori di vino hanno la possibilità di:

  • scoprire curiosità sui metodi di produzione;
  • ricevere informazioni su vitigni e uve selezionate;
  • degustare diverse tipologie di vino, spesso con l’accompagnamento di prodotti tipici;
  • acquistare i prodotti.

Le enoteche più rinomate sono inoltre spesso gestite da o in collaborazione con cantine e aziende vinicole. È ad esempio il caso dell’Enoteca Banfi a Montalcino dove vengono conservati, esposti e venduti i vini prodotti presso le nostre cantine. Non solo vini e spumanti, ma anche condimenti, olio e prodotti di gastronomia e artigianato locale, tra cui il pecorino locale e il prosciutto crudo toscano, da poter degustare anche presso il wine bar.

Oltre alle degustazioni, visitare l’Enoteca Banfi è una vera e propria immersione nel mondo del vino e delle tradizioni vinicole del passato. L’ambiente rustico ed elegante, con mobili in legno pregiato e botti originali, ricorda le botteghe toscane di una volta. La stessa enoteca si trova a ridosso delle volte del suggestivo Castello Banfi di Poggio alle Mura, una fortezza medievale splendidamente conservata e incastonata come un gioiello nel piccolo borgo di Poggio alle Mura.

A quando risalgono le prime enoteche?

Le enoteche più antiche risalgono al ‘400 e alcune vengono addirittura citate nelle opere di Torquato Tasso e Ludovico Ariosto. Già allora erano luoghi di accoglienza e di ospitalità, dove il piacere del buon vino si mescolava a quello del cibo.

Come si chiama chi lavora in un’enoteca?

Tra le diverse figure professionali che operano a livello professionale nel settore del vino non è facile individuare nello specifico chi sia o come si chiami chi lavora in un’enoteca. Questo accade perché l’enoteca è un sistema complesso, che abbraccia l’esperienza di conservazione, vendita e degustazione del vino.

Nella maggior parte dei casi, è presente presso l’enoteca un sommelier che si occupa di selezionare i vini più adatti alla degustazione per qualità e caratteristiche e fornisce consigli e suggerimenti ai consumatori.

Certificazione Equalitas: cos’è e i traguardi Banfi

Banfi, da sempre pioniere della sostenibilità e promotore di iniziative concrete per la valorizzazione del territorio, vanta tra le sue certificazioni anche la prestigiosa Certificazione Equalitas, il prestigioso riconoscimento internazionale per le aziende che hanno fatto della responsabilità sociale e ambientale, della trasparenza e dell’eticità i punti cardine della loro strategia.

Che cos’è la Certificazione Equalitas?

La Certificazione Equalitas, rilasciata da CSQA, nasce nel 2015 per iniziativa di Federdoc e Unione Italiana Vini e rappresenta un autentico simbolo di eccellenza aziendale nel settore vinicolo e la ferma volontà di tutti gli appartenenti al settore di definire un alto standard di sostenibilità che interessi ogni aspetto della filiera produttiva, dalla tracciabilità delle materie prime fino all’imbottigliamento.

Tali standard sono applicabili sia alle aziende, che possono ricevere la Certificazione Equalitas Organizzazione Sostenibile, sia ai singoli prodotti, che possono fregiarsi della Certificazione Equalitas Prodotto Sostenibile.

Nel corso del tempo, Banfi ha raggiunto entrambi questi traguardi, aggiungendo alla sua rosa di certificazioni quella di organizzazione sostenibile nel 2021 e quella relativa ai prodotti della famiglia del Brunello nel 2022.

I tre pilastri della certificazione Equalitas

Il raggiungimento degli standard di sostenibilità Equalitas per le aziende certificate nel settore vinicolo si basa su tre pilastri fondamentali (sostenibilità economica, sociale e ambientale), oltre che su una serie di indicazioni e buone pratiche che riguardano l’intera filiera produttiva, dalla gestione del suolo e del vigneto (buone pratiche agricole), a quella dell’imbottigliamento e della sanificazione delle attrezzature (buone pratiche di cantina), alla comunicazione continua e documentata dei piani strategici aziendali e dai Bilanci di Sostenibilità (buone pratiche di comunicazione).

Banfi per la formazione e la sostenibilità economica

Uno dei pilastri fondamentali su cui si basa la Certificazione Equalitas è quello della gestione socioeconomica dell’azienda, che si riferisce, oltre alle buone pratiche economiche, anche alla formazione costante dei lavoratori, all’integrazione con il territorio e la comunità locale.

È proprio in quest’ottica che Banfi ha creato anche la Sanguis Jovis – Alta Scuola del Sangiovese. L’istituzione rappresenta uno dei percorsi più originali e innovativi del settore, con lo scopo di innovare la cultura dei professionisti del vino e di proiettarla verso un futuro globalizzato, sempre nel rispetto e nella valorizzazione di un territorio, quello del Sangiovese, che vanta una tradizione antica.

Banfi per la sostenibilità ambientale

Da sempre Banfi abbraccia una gestione aziendale di profonda comprensione, convivenza e armonia con il territorio che la circonda, attraverso l’uso razionale delle risorse e la cura dell’ambiente in ogni fase della filiera produttiva, dalla raccolta dell’uva fino alla creazione di nuove bottiglie leggere che consentono di risparmiare sulle materie prime.

Per quanto concerne la Certificazione Equalitas, il pilastro della sostenibilità ambientale prende in considerazione tre diversi fattori: la carbon footprint, la water footprint e la biodiversità.

Carbon footprint

La carbon footprint, ossia l’impatto ambientale in termini di emissioni di gas serra provocate da un’azienda e dalla produzione di un prodotto, rappresenta per Banfi il fiore all’occhiello della sua strategia di sostenibilità.

Fin dagli anni Novanta, infatti, l’azienda ha promosso programmi di coltivazione a basso impatto ambientale, riducendo al minimo l’utilizzo di agenti chimici e di prodotti aggressivi per l’ambiente. In parallelo, abbiamo portato avanti un progetto di rivivificazione delle foreste che circondano la tenuta, piantando varietà locali, tra cui i cipressi, particolarmente adatti per aumentare la produzione di ossigeno e l’assorbimento di anidride carbonica.

Water footprint

Nel corso degli anni, grazie alla profonda conoscenza di un territorio così ricco e variegato come quello delle colline che circondano Poggio alle Mura, i nostri esperti hanno elaborato un sistema di irrigazione che ha portato a un risparmio d’acqua pari a circa l’80%. Attraverso un sistema di irrigazione localizzata a rateo variabile e tenendo conto della variabilità geologica, climatica e pedologica dei suoli coltivati, abbiamo ridotto al minimo il prelievo delle acque dai fiumi Orcia e Ombrone, naturali fonti di approvvigionamento della tenuta.

Biodiversità

L’impegno per la sostenibilità ambientale promosso da Banfi e attestato dalla Certificazione Equalitas riguarda anche la biodiversità. La ricca e variegata fauna naturale, in particolar modo quella di cinghiali, fagiani e cervi, vive in armonia nei campi, naturali e seminati, presenti nelle vicinanze della nostra azienda vinicola. Curiamo inoltre anche l’allevamento di un piccolo gruppo di asinelli dell’Amiata, una razza locale a rischio estinzione.

Certificazione Equalitas di prodotto sostenibile: i nostri vini

I traguardi ottenuti da Banfi nella sfera della sostenibilità non riguardano solo gli standard aziendali ma abbracciano anche un’ampia rosa di prodotti, diventati fiore all’occhiello della nostra produzione vinicola di altissima qualità e sostenibile. Uno dei nostri vini più pregiati e storici, il Poggio all’oro 2016 è stato il primo Brunello di Montalcino a ottenere la Certificazione Equalitas Prodotto Sostenibile nell’ottobre 2022, seguito poi dal Poggio alle Mura 2018, dal Vigna Marrucheto del 2018 e dal Poggio alle Mura Riserva 2017, che possono vantare la prestigiosa Certificazione Equalitas – Prodotti Sostenibili.

Poggio all’Oro 2016 ottiene la certificazione Equalitas

A poco più di un anno di distanza dall’ottenimento della certificazione Equalitas da parte di Banfi Società Agricola srl, uno dei vini più pregiati e storici dell’azienda, il Brunello di Montalcino Riserva Poggio all’Oro Banfi 2016, è il primo Brunello a raggiungere il traguardo della Certificazione Equalitas di Prodotto Sostenibile.

Ecco come funziona la Certificazione Equalitas e quali sono le caratteristiche del Brunello di Montalcino Poggio all’Oro Riserva.

Certificazione Equalitas di Prodotto Sostenibile: di cosa si tratta?

La certificazione, rilasciata da CSQA, assicura la conformità dei vini ai requisiti previsti dallo standard Equalitas, garantendone la tracciabilità, dalla materia prima fino all’imbottigliamento.

La gestione e il controllo sull’intero processo produttivo avvengono mediante l’individuazione e la verifica delle buone pratiche agricole dei vigneti da cui proviene l’uva, al controllo delle buone pratiche in cantina e in fase di imbottigliamento.

Poggio all’Oro Banfi e Certificazione Equitas

Quello conseguito a ottobre 2022 rappresenta un traguardo importantissimo e di immenso valore per Banfi. Pioniera della Sostenibilità, uno dei suoi valori fondanti ed elemento autentico ed emblematico della propria storia, Banfi ha un percorso che nasce da molto lontano ed il cui presupposto si trova nell’armonia tra il territorio, le persone, l’ambiente e la qualità delle proprie produzioni. Il cammino intrapreso fin dalla propria fondazione si è evoluto negli anni, seguendo la crescente richiesta di qualità e sicurezza del mondo enologico.

Un obiettivo conquistato, quest’anno, con la Certificazione Equalitas di Prodotto Sostenibile che si inserisce, però, nel più ampio programma di azioni e obiettivi del Piano Strategico di Sostenibilità, che indirizza le scelte aziendali e che trova rappresentazione nel Bilancio di Sostenibilità.

Così come per lo standard Equalitas – Organizzazioni Sostenibili, anche lo standard Equalitas – Prodotti Sostenibili analizza aree diverse, in tutte le fasi di produzione, a partire dal sistema di gestione aziendale integrato con la sostenibilità, al fine di assicurare la qualità dei prodotti.

Tre sono, poi, gli indicatori di sostenibilità ambientale che vengono presi in osservazione:

  • il carbon footprint, vale a dire le emissioni di gas ad effetto serra;
  • la water footprint, ossia la mappatura della gestione dell’acqua;
  • per finire con la biodiversità, misurata nell’acqua, nell’aria e nel suolo con il metodo Biodiversity Friend. 

Altra area presa in esame è quella delle buone pratiche socioeconomiche che si riferisce ai lavoratori, alla formazione, alle relazioni con il territorio e la comunità locale, oltre che alle buone pratiche economiche.

Anche le buone pratiche di comunicazione, con una politica di comunicazione veritiera e documentata, ed il Bilancio di Sostenibilità, rientrano tra quegli aspetti analizzati.

La gestione del suolo, della fertilità e dell’irrigazione, oltre che quella della pianta, della difesa e della vendemmia sono i parametri esaminati nella gestione del vigneto, per le buone pratiche agricole.

Per le buone pratiche di cantina, imbottigliamento e condizionamento ci si riferisce agli aspetti della raccolta, vinificazione e imbottigliamento, detersione e sanitizzazione di locali e attrezzature, al packaging e ai rifiuti e acque reflue.

La rosa delle Certificazioni Equalitas di Prodotto Sostenibile conseguito dai vini prodotti da Banfi è, però, più ampia ed abbraccia la famiglia dei Brunello quasi al completo. Infatti, sia il Poggio alle Mura che il Vigna Marrucheto, entrambi annata 2018, ed il Poggio alle Mura Riserva 2017 hanno ottenuto la medesima certificazione.

Bicchieri da degustazione vino: le tipologie

Come dovrebbero essere i bicchieri da degustazione? Ecco come trovare il bicchiere giusto per ogni tipo di degustazione vinicola.

Bicchieri da degustazione vino: tipologie e come sceglierli

La degustazione del vino è un’esperienza multisensoriale che coinvolge vista, olfatto e gusto e li guida alla scoperta delle numerose sfaccettature dei vini. Si tratta di un’esperienza che, per essere eseguita al meglio, è scandita da alcune regole. Una delle più importanti riguarda i bicchieri da degustazione per il vino.
Così come i maestri delle cantine si servono di appositi strumenti e macchinari per esaltare le qualità delle uve e trasformarle in vini pregiati, così chi si appresta a degustare tali vini deve farlo con gli strumenti giusti. Ma quali sono i bicchieri per il vino più adatti da utilizzare per una degustazione?

Bicchieri da degustazione vino: i materiali

I bicchieri da degustazione vino, chiamati anche “calici da degustazione”, possono essere diversi sia per forma che per capienza ma sono accomunati dal materiale con cui vengono realizzati: un vetro di ottima trasparenza. Questo materiale consente di apprezzare il colore, la limpidezza e la corposità del vino a un esame visivo, il primo passo della degustazione.

Il vetro è uno dei materiali più antichi lavorati dall’uomo: i reperti esposti al Museo della Bottiglia e del Vetro di Poggio alle Mura mostrano l’evoluzione delle tecniche di produzione di questo materiale e la progressiva specializzazione dell’uomo nella sua lavorazione.
Nel caso della produzione dei bicchieri da degustazione per il vino, si utilizza molto spesso il cristallo, un particolare tipo di vetro che si caratterizza per la sua trasparenza, ideale per poter eseguire l’esame visivo del vino.
Le forme possono essere molteplici e variare a seconda della tipologia di vino scelto per la degustazione.

Bicchieri da degustazione per il vino rosso

I bicchieri da degustazione per il vino rosso vanno scelti a seconda della corposità, complessità e degli aromi del vino. Le tipologie che meglio valorizzano i vini rossi classici di media struttura sono il bicchiere ballon mentre per i vini rossi invecchiati si prediligono i borgogna o i barbareschi.

Ballon

Il ballon è caratterizzato da una forma rotondeggiante e panciuta, adatta a sprigionare l’intensità del bouquet di profumi che contraddistingue i vini rossi giovani e aromatici. Inoltre, l’ampiezza della superficie e la sua conseguente luminosità permettono di apprezzarne la consistenza e la colorazione.

Borgogna

Il borgogna, invece, il cui nome fa riferimento all’omonima regione francese patria del Pinot nero, ha una forma più allungata ed è usato come bicchiere da degustazione per vini rossi più strutturati e invecchiati diversi anni.
La forma allungata e panciuta aumenta la superficie del vino, facendolo respirare e favorendone l’ossigenazione. Bicchieri da degustazione ampi come il borgogna consentono un esame visivo attento e accurato: l’ampiezza della pancia permette una corretta rotazione del vino per apprezzare la formazione degli archetti o lacrime ed esaminare al meglio la limpidezza mentre l’apertura leggermente più stretta esalta maggiormente i profumi complessi, portandoli subito al naso per il primo esame olfattivo.

Barbaresco

Tra i bicchieri da degustazione per vino rosso strutturato va menzionato anche il calice dal corpo panciuto con il bordo svasato conosciuto anche come “barbaresco”, dal comune di Barbaresco in Piemonte dove si produce il famoso vino omonimo. Il bordo svasato che ricorda la particolare forma a tulipano permette al bouquet di profumi di espandersi ed evolvere mano a mano che si procede all’esame olfattivo.

Bicchieri da degustazione per il vino bianco

I bicchieri da degustazione per il vino bianco più utilizzati sono invece il tulipano e il renano. Vediamo di seguito quali sono le caratteristiche di entrambe le tipologie di bicchiere.

Tulipano

Il tulipano o “bicchiere Sauvignon” è il più classico tra i bicchieri da degustazione per vino bianco e uno dei più diffusi in commercio. La sua forma ricorda quella del fiore da cui prende il nome, con una pancia leggermente bombata e allungata e un’apertura svasata che si allarga di poco rispetto al corpo centrale.
Questa forma agevola la salita degli aromi al naso e per questo è indicato soprattutto nella degustazione di vini fruttati e delicati, leggeri e mediamente strutturati.

Renano

Per i vini bianchi più complessi invece si predilige il renano, un calice leggermente chiuso nella parte superiore così da convogliare al naso i profumi intensi dei bianchi strutturati e permettendo di apprezzare già a un primo esame la complessità degli aromi.

Che cos’è il bicchiere ISO?

“ISO” è l’acronimo di “International Standards Organization”, ovvero l’Organizzazione internazionale per la normazione che si occupa a livello mondiale della definizione di diverse norme tecniche.

Nel 1970 gli esperti dell’ISO hanno codificato anche le misure del bicchiere da degustazione per vino da utilizzare durante gli eventi ufficiali. Esso si caratterizza per una forma diversa da quelle indicate finora e si adatta a tutti i tipo di vino.

Il bicchiere ISO ha una pancia di dimensioni medie con un’apertura leggermente più stretta per favorire la concentrazione dei profumi e il loro rilascio graduale durante l’esame olfattivo. Viene riempito per 50-100 ml, a seconda della tipologia di vino.